Come usare un pilastro della comunicazione assertiva: saper ascoltare

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Bruna FerrareseUna mente aperta, non condizionata dai pregiudizi e un sincero interesse verso gli altri sono i presupposti per esercitare un ascolto corretto, base di una buona comunicazione assertiva ma, pensaci, “quando è iniziata la tua educazione all’ascolto?”.

La maggior parte di noi può agevolmente immaginare che la sua educazione al linguaggio sia iniziata molto presto, praticamente alla nascita, a cura di tutti gli esseri umani con i quali è venuto in contatto. Ma l’altra parte, quella in cui noi stiamo zitti ed è un altro ad esprimersi, in quale momento è stata oggetto di formazione?

Recupero dalla memoria alcune raccomandazioni al riguardo espresse dai miei genitori: “lasciami finire il discorso”, “stai attenta quando ti parlo”, “non mi stai mai ad ascoltare”, “guardami in faccia quando ti parlo”… Ok, ma perché nessuno mi ha spiegato come funziona il processo dell’ascolto, aldilà dell’apparente attenzione che devo mostrare? Semplice: perché non lo sapevano neppure loro!

La maggior parte delle persone confonde il “sentire” con l’ascoltare e, in questo modo, passa la vita a risolvere fraintendimenti di ogni genere. Per buona educazione guardiamo la persona che sta parlando e, nel migliore dei casi, aspettiamo pazientemente il nostro turno di parola con la testa impegnata a formulare il nostro giudizio, la nostra opinione o il nostro consiglio pronti ad emetterlo non appena toccherà a noi (per inciso nel peggiore dei casi pensiamo proprio a tutt’altro simulando spudoratamente un interesse inesistente).

Il focus della nostra attenzione non si rivolge al nostro interlocutore – come dovrebbe invece accadere per realizzare un ascolto partecipe – ma resta ben centrato su noi stessi. In questo modo la nostra relazione resta a un livello superficiale che impedisce di cogliere l’insieme dei messaggi utilizzati dall’altro: la mimica, la gestualità, le pause, i silenzi, le incertezze, l’utilizzo di certe parole in luogo di altre…

Certo ascoltare con partecipazione e raggiungere l’obiettivo di una reale comprensione è faticoso perché richiede di riuscire a cogliere il punto di vista dell’altro e i suoi stati d’animo. Si fonda sul desiderio di non manipolare attraverso la comunicazione il comportamento dell’altro per renderlo come piace a noi.

Si avvale pertanto di un feedback neutro che non genera disagio e mortificazioni per i nostri interlocutori e crea, in tal modo, un ambiente relazionale gradevole e di arricchimento reciproco. Una delle obiezioni più ricorrenti che mi vengono mosse su questo tema riguarda l’opportunità di astenersi dal dare consigli, persino quando è l’interlocutore a richiederlo esplicitamente.

La ragione alla base di questa regola è semplice. Chi deve risolvere un problema, prendere una decisione, risolvere una situazione non ha bisogno e/o voglia reale di sentirsi dire cosa fare. Il vero motivo per cui ce ne parla è la necessità di razionalizzare i termini delle sue difficoltà per sciogliere i dubbi e agire con determinazione verso una soluzione: la sua soluzione.

Se cederemo alla lusinga di impersonare il “buon saggio” che offre preziosi consigli, toglieremo al nostro interlocutore la possibilità di accrescere le sue forze attraverso la maturazione di una presa di decisione personale. Lo legheremo emotivamente a noi, facendolo sentire debole se lasciato da solo a risolvere.

L’aiuto vero ed importante che noi possiamo offrire è un supporto neutrale a tale processo di elaborazione decisionale. Così facendo, il nostro interlocutore rafforzerà la sua sicurezza in sé stesso e potrà agire con maggiore fiducia nelle proprie capacità e risorse.

Ascolteremo quindi con attenzione effettiva, forniremo una sintesi di quanto espresso dall’interessato, porremo domande aperte per aiutare l’elaborazione del pensiero, aiuteremo nella valutazione dei pro e dei contro ma, sempre, con la massima oggettività senza cedere alla tentazione di fornire soluzioni o, peggio ancora, giudizi di qualsiasi genere.

In questo modo il nostro interlocutore avvertirà il nostro sincero interesse e apprezzerà il nostro atteggiamento. Avendo scelto personalmente, anche in caso di insuccesso sarà in grado di reagire correttamente, ricavandone preziose esperienze che lo renderanno più forte per il futuro.

A cura di Bruna Ferrarese
Autrice di Comunicazione assertiva

Pubblicato il: 3 Ottobre 2010