La Nuova PNL (PNL 3.0.)
Così il Dr. Steve Andreas, psicologo, psicoterapeuta e uno dei pionieri della Programmazione Neuro Linguistica, definì questa straordinaria disciplina. Nella prima metà del Novecento, infatti, la “promessa” che la psicologia aveva fatto all’uomo – sin dai primi anni della sua nascita – era rimasta insoddisfatta. Le oltre quaranta scuole di psicologia esistenti all’epoca dibattevano teoricamente su quale fosse l’istinto primordiale dell’uomo, inaugurando una vera e propria “guerra degli istinti”. Che fosse la “pulsione di morte”, la “pulsione sessuale”, il “complesso di inferiorità” o altro a guidare il comportamento umano, questo intero paradigma psicologico era un’estensione del modello medico. Partiva dal presupposto che l’uomo non funziona correttamente, che occorre indagare a fondo il problema, portando l’attenzione alla malattia per poi efficacemente “ripararla”. Il paradigma psicologico aveva due caratteristiche fondamentali. La prima è che si trattasse di un paradigma teorico/linguistico piuttosto che esistenziale/esperienziale, la seconda è che si basasse interamente su un modello riparativo, piuttosto che agevolare nelle persone una trasformazione generativa della coscienza.
La situazione cominciò a prendere una svolta diversa quando uno strano personaggio, un filosofo e mistico armeno, irruppe in Occidente con un nuovo e innovativo messaggio: l’uomo che consideriamo “normale” è soltanto l’uomo “medio”, ed è poco più di una ‘macchina‘. Il filosofo si chiamava George I. Gurdjieff, e cominciò a diffondere l’idea che, se si comprende il proprio “modo di funzionare”, è possibile trascendere la condizione in cui ci troviamo ed esprimere il potenziale latente che è presente in noi: «Le possibilità dell’uomo sono immense. Non potete neppure farvi un’idea di ciò che un uomo è capace di raggiungere. Ma nel sonno nulla può essere raggiunto. Nella coscienza di un uomo addormentato, le sue illusioni, i suoi “sogni”, si mescolano alla realtà. L’uomo vive in un mondo soggettivo al quale gli è impossibile sfuggire. Ecco perché non può mai fare uso di tutti i poteri che possiede e vive sempre soltanto in una piccola parte di se stesso». George Ivanovich Gurdjieff
Gurdjieff fu uno dei primi ad invertire la rotta generale che la psicologia aveva preso. Nel 1922 fondò a Fontainbleau, vicino Parigi, l’Istituto per lo Sviluppo Armonico dell’Uomo e cominciò a lavorare con le persone che vi parteciparono. L’idea che introdusse fin dai primi gruppi di lavoro è che l’uomo non necessariamente deve restare nella condizione in cui si trova. Se comincia un processo di “lavoro su di sé”, può cominciare ad accedere a potenzialità che gli erano da sempre rimaste oscure. L’idea centrale del suo insegnamento, la “Quarta Via”, è che le “strade” tradizionalmente più conosciute dall’uomo – per sviluppare il proprio Essere – sono inadatte alle condizioni di vita dell’uomo Occidentale. Queste tre strade di sviluppo della coscienza secondo Gurdjieff erano:
N. 1: “Via del Fachiro” – E’ la via del trasformare il proprio livello di coscienza attraverso un lavoro sul corpo e sugli sforzi fisici;
N. 2: “Via del Monaco” – E’ la via centrata sullo sviluppo degli aspetti emotivi;
N. 3: “Via dello Yogi” – E’ la via incentrata sulla “comprensione” delle leggi che regolano la realtà e sull’esercizio della mente.
Gurdjieff cominciò a parlare di una “Quarta Via” che si proponeva, al contrario delle prime tre vie, di operare una trasformazione “integrale” e “olistica” nella coscienza dell’uomo. Ouspensky, un suo grande allievo scrisse (1972): «Nella Quarta Via tutti i lati si sviluppano contemporaneamente e ciò la rende diversa dalle altre strade nelle quali voi prima sviluppate un lato, poi tornate indietro e ne sviluppate un altro, poi di nuovo tornate indietro e ne sviluppate un terzo … ».
La nuova via psicologica inaugurata da Gurdjieff possedeva così alcune caratteristiche peculiari. La prima è quella di consentire uno sviluppo della proprio potenziale senza doversi ritirare dal mondo. Riprendendo un antico detto Sufi, è una via in grado di farci «Essere nel mondo ma non del mondo». La seconda caratteristica che doveva possedere è che avrebbe dovuto occuparsi di integrare i tre aspetti fondamentali presenti nelle “vie” tradizionali (mentale, fisico ed emotivo). La terza è che doveva occuparsi del potenziale umano e costituirsi come una psicologia del divenire: in altre parole, non tanto indagare l’ “uomo per come è”, ma piuttosto indagare l’uomo per “ciò che può diventare”.
Le idee di Gurdjieff, attraverso l’intermediazione di Ouspensky, cominciarono ad influenzare diversi pionieri della psicologia che in seguito crearono ciò che – nel 1965 (Murphy, Leonard) – venne definito il Movimento del Potenziale Umano. Per la prima volta la psicologia si cominciava a occupare del “divenire umano”, inaugurando una serie di ricerche sul lato “chiaro” e “luminoso” della natura umana. In particolare, uno dei primi pionieri fu lo psicologo americano Abraham Maslow. Durante il suo periodo di dottorato all’Università, Maslow cominciò dapprima a studiare le idee del Comportamentismo e della Psicanalisi (considerate le prime “due forze” della psicologia). Ma un giorno qualcosa lo illuminò sui limiti della psicologia che aveva studiato, mettendo in discussione le sue certezze. Ciò che accadde è che, sempre nell’ambiente universitario, Maslow incontrò due Professori (Ruth Benedict e Max Wertheimer) che sembravano straordinariamente diversi da tutte le persone che Maslow aveva conosciuto. Si trattava di persone appassionate, di leader umanitari e individui profondamente concentrati sul benessere del sistema più ampio in cui operavano. Maslow comprese che tutta la psicologia del Comportamentismo e della Psicanalisi non riuscivano a spiegargli la “psicologia” che sembrava guidare l’atteggiamento che possedevano questi due straordinari individui. Cominciò a pensare che occorreva una “nuova psicologia”, una “terza forza” che fosse in grado di studiare il “divenire umano”. Così si lanciò in un progetto innovativo, e dopo diversi anni, nel 1954, produsse Motivazione e Personalità, in cui divulgò le sue scoperte sulle persone auto-realizzate.
Scrisse: «Ogni bambino possiede la possibilità dell’auto-realizzazione, ma nella maggior parte dei casi è tirato fuori da questa possibilità. Penso alla persona autorealizzata non come una persona qualunque con qualcosa di aggiunto, ma piuttosto come a un uomo cui nulla è stato tolto. L’uomo medio è un essere umano con poteri smorzati e inibiti». Abraham Maslow
Con le premesse della nuova psicologia inaugurate da Maslow, e con l’influenza delle idee di Gurdjieff e Ouspensky, nacque un movimento di ricercatori che cominciò ad indagare seriamente le più alte vette della natura umana. Come una serie di intellettuali si erano precedentemente riuniti a Fontainbleau per studiare con Gurdjieff, una serie di intellettuali e ricercatori da diverse parti del mondo cominciarono a collaborare per approfondire le idee di questa nuova visione psicologica. Tra i pionieri del Movimento del Potenziale Umano ci furono ricercatori del calibro di Carl Rogers, Viktor Frankl, Roberto Assagioli, Aldous Huxley. Non molti sanno che ci furono anche tre dei “mentori” di Bandler e Grinder: Virginia Satir, Fritz Perls e Gregory Bateson.
Ma dopo alcuni anni il Movimento del Potenziale Umano ebbe una sorte imprevista. Nato come movimento creativo e caotico al tempo stesso e non dotato di una struttura generale unitaria, esso si dissipò in una serie di approcci che presero strade diverse, e fondarono proprie metodologie. Tra tutte, la disciplina che maggiormente riprese l’eredità delle idee del Movimento fu la Programmazione Neuro Linguistica di Richard Bandler e John Grinder. Guidati dall’antropologo Gregory Bateson (uno degli esponenti di spicco del Movimento) i due giovano ricercatori cominciarono a studiare e a ‘modellare’ le persone auto-realizzate in modo più sistematico e preciso rispetto a ciò che aveva fatto Maslow.
I principi del Movimento del Potenziale Umano si canalizzarono dunque nella Programmazione Neuro Linguistica, che ne raccolse l’eredità pragmatica. In molti sensi diversi, possiamo considerare la PNL come la “tecnologia applicativa” del Movimento del Potenziale Umano. Ciò che i ricercatori della PNL fecero, fu focalizzarsi non tanto sui principi teorici e sulle “idee” dietro l’auto-realizzazione, ma di studiare la “struttura” e i “processi” che conducevano le persone a sperimentare stati superiori di coscienza, e ad esprimere maggiormente le proprie risorse interiori. I primi ricercatori (Dilts, Andreas, DeLozier, James, ecc.) cominciarono ad elaborare una serie di modelli e di tecniche applicative per esprimere il proprio potenziale. Nonostante tutto, però, la maggior parte della PNL Classica (quella degli anni ’70), era ancora radicata nell’approccio riparativo, proprio della terapia psicologica del tempo.
Le cose cominciarono a cambiare quando, negli anni ’80, un Master Trainer di PNL, Roye Fraser, elaborò un proprio modello di evoluzione personale, che chiamò Generative Imprint Model. Basato sugli studi della PNL di Bandler e Grinder, e incorporando i modelli di Joseph Campbell e Konrad Lorenz, Fraser postulò l’esistenza di una “identità profonda” presente in ogni individuo. Secondo Fraser, questa “essenza” di cui siamo dotati è la sede del nostro potenziale, ed è “memorizzata” nel sistema mente-corpo-emozioni dell’individuo. Secondo Fraser la PNL si sarebbe dovuta evolvere, trasformando molto dell’atteggiamento ‘riparativo’ che possedeva, in una visione generativa dell’essere umano. Cominciando ad introdurre l’idea di “approccio generativo” alla trasformazione personale, cominciò anche a prendere le distanze dalla “PNL riparativa” di quel tempo. Scrisse (1990): «Mentre Dilts [Robert] focalizza l’attenzione sulle esperienze traumatiche e spiacevoli del passato che fungono da imprint negativi, il processo che stiamo descrivendo presuppone gli effetti generativi delle prime esperienze positive, in particolare quelle alla base dei nostri valori più alti e dei nostri poteri più creativi». Roye Fraser (1990)
Fraser chiamava l’essenza “memorizzata” somaticamente, mentalmente ed emotivamente all’interno di ogni individuo “impronta generativa”. Quando una persona si ri-allinea a questa impronta, il suo sistema mente-corpo-emozioni riconosce quell’allineamento, e l’individuo sperimenta uno stato di coscienza in cui è “pronto a tutto”. Fraser chiamava questo stato di coscienza “Ready State” (“Stato di Prontezza”). Quando l’individuo si trova nel Ready State – e dunque è ri-allineato alla sua identità reale, alla sua impronta generativa – “tutto è perfetto”. Si trova in una posizione “eccitatoria”, in cui filtra la vita in relazione a “ciò che è possibile”, piuttosto che ai limiti percepiti. Il Ready State è dunque la manifestazione – nel sistema mente-corpo-emozioni – di ciò che significa essere vivi. Fraser (1990) scrisse che si tratta di «… Scoprire i petali che aprono alla rivelazione del reale mistero di ciò che significa essere vivi». Roye Fraser (1990)
Nel libro PNL 3.0. mostro come i tre grandi approcci di cui ho parlato si integrano tra loro, per arrivare a conclusioni cui singolarmente nessun modello poteva arrivare. Come Formatore presso l’Istituto Italiano di Psicosintesi, dove mi occupo da alcuni anni di tenere seminari sulla psicologia dell’auto-realizzazione, mi sono presto reso conto che in Italia non esisteva nessun testo che spiegasse come evolvere ed integrare i modelli della PNL Classica con gli approcci “precursori” (Gurdjieff, Maslow) e le evoluzioni della PNL (Fraser).
Negli ultimi anni Robert Dilts, uno dei pionieri della Programmazione Neuro Linguistica, ha cominciato a parlare della PNL di Nuova Generazione. Secondo Dilts una delle caratteristiche della PNL di Nuova Generazione è che integra in sé approcci di altre discipline. Dilts (2010) scrive:
«La PNL ha sempre integrato in sé processi e conoscenze utili derivate da altri ambiti. Nei trent’anni di storia della PNL, inoltre, vi è stato un reciproco e fruttuoso scambio di influenze, idee e processi che hanno a loro volta generato nuovi sviluppi in altri campi: Stephen Gilligan, Gabrielle Roth, Richard Moss, Ken Wilber, Wugene Gendlin, John Welwood, Bert Hellinger, Harville Hendrix, Donald Epstein, Rupert Sheldrake, Timothy Gallway, Carol Pearson» . Robert Dilts
Ciò di cui mi sono reso conto, però, è che nessun libro di PNL di Nuova Generazione integra tre ulteriori approcci e modelli di trasformazione che tanto possono dare allo sviluppo della coscienza e del potenziale umano:
– La Quarta Via (Gurdjieff, Ouspensky);
– La Psicologia del Divenire (Maslow, Assagioli);
– Il Generative Imprint Model (Roye Fraser).
In realtà questi modelli hanno tanto da dare al mondo della PNL e, dal mio punto di vista, sono in grado di trasformarne l’intera natura e l’intero paradigma operativo. Ma perché PNL 3.0.? Il Dottor Gennaro Romagnoli, psicologo e psicoterapeuta, è una delle persone che in Italia si è occupato con maggior serietà, passione e professionalità, di Programmazione Neuro Linguistica e Psicologia. E’ una delle persone che seguo da anni, e i cui spunti mi hanno aiutato nel mio periodo di ricerca universitaria. La visione che porta avanti da anni, e che ha influenzato il pensiero di migliaia di persone, è quella di generare un’intersezione tra PNL e Psicologia. Nella Prefazione al mio libro, chiarisce la natura del nome “PNL 3.0”:
«… Mauro presenta per la prima volta in Italia una delle derivazioni più interessanti della PNL, il Generative Imprint Model di Roye Fraser. Ed è proprio attraverso questo modello che osserva tradizioni di crescita personale più antiche, come gli insegnamenti di Gurdjieff. … La sintesi di vari approcci psicologici di crescita personale che ci propone è esposta con semplicità e chiarezza. Un ottimo lavoro sia per chi è completamente a digiuno di questi argomenti, sia per chi si trova a livello avanzato. Insomma, un ottimo libro che finalmente non parla della “solita PNL». Gennaro Romagnoli
PNL 3.0. non è semplicemente la presentazione di uno dei modelli che ho citato (il modello di Fraser, quello di Gurdjieff, quello di Maslow, quello di Assagioli), è l’integrazione della PNL Generativa con alcune delle intuizioni più profonde della “psicologia perenne”, e dei modelli che ancora nessun testo ha presentato integrati alla PNL. Ciò che mi auguro di offrire al lettore del libro PNL 3.0. è una visione fresca e innovativa della PNL, mostrando come i modelli che ho citato possano trasformare radicalmente il modello originario. In questo modo è possibile applicare la PNL in modo ‘ontologico’ piuttosto che ‘gnoseologico’, andando a trasformare il nostro modo di essere, piuttosto che il nostro modo di fare.
Mi auguro di cuore che queste idee, che tanto hanno fatto la differenza per me e per le persone che mi circondano, possano aiutare tante altre persone. Soprattutto in una fase storica in cui, più d’ogni altra cosa, abbiamo bisogno di comprendere chi siamo, cosa possiamo diventare, e come possiamo evolvere in questa traiettoria, riallineandoci alla nostra “strada con un cuore”.
a cura di Mauro Ventola
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