Come tutelarsi in caso di licenziamento individuale

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Mi accorgo da diversi commenti ricevuti sul mio blog che, a livello dei dipendenti, ci sono scarse conoscenze delle problematiche relative al licenziamento individuale. In particolare, non sono chiare le differenze tra tutela reale e tutela obbligatoria nel caso il licenziamento si rivelasse illegittimo.

Il licenziamento individuale, se non é motivato dalla giusta causa o da un giustificato motivo oggettivo/soggettivo, é illegittimo. È, però, necessario, dal punto di vista legale, fare delle distinzioni in quelle che sono le dimensioni dell’azienda e le conseguenze per il datore di lavoro, a seconda che si tratti di dipendenti sotto tutela obbligatoria o tutela reale del posto di lavoro.

Le aziende che hanno fino a 15 dipendenti (fino a 5 se aziende agricole) e che sono sotto il regime della così detta tutela obbligatoria del posto di lavoro possono licenziare i dipendenti anche per oggettive esigenze organizzative o produttive, comunicando per iscritto il licenziamento.

Il dipendente ha tempo 15 giorni dal ricevimento della comunicazione per richiedere al datore di lavoro i motivi del licenziamento. L’azienda ha, a sua volta, tempo 7 giorni per rispondere a tale richiesta. Egli,attraveso un proprio legale, potrà presentare ricorso contro il licenziamento e, nel caso questo fosse riconosciuto, l’azienda potrà essere condannata, a scelta del datore di lavoro:

  • alla riassunzione del dipendente
  • o al pagamento di una somma, a titolo di indennità, variabile da un minimo di 2,5 ad un massimo di 14 mensilità, a seconda di elementi presi in considerazione dal giudice, quali l’anzianità del dipendente, le dimensioni dell’azienda ecc.

È inutile dire che ben difficilmente il datore di lavoro opterà per la riassunzione del lavoratore.

E’ importante considerare una regola che vale per qualunque tipo di licenziamento; questo é da considerarsi inefficace (non illegittimo) se:

  • é stato intimato senza la forma scritta
  • l’azienda non ha risposto alla richiesta di motivare il licenziamento;
  • l’azienda ha risposto con ritardo alla richiesta di motivare il licenziamento

Le aziende che hanno più di 15 dipendenti (più di 5 se agricole) sono sotto il regime della tutela reale del posto di lavoro, e prima di procedere al licenziamento, devono, nei casi di giusta causa o giustificato motivo oggettivo, far pervenire al dipendente una contestazione disciplinare. Ogni contratto nazionale stabilisce entro quali tempi il lavoratore deve rispondere alla contestazione disciplinare e, entro quanto l’azienda può, poi, procedere al licenziamento, se non convinta delle ragioni esposte dal dipendente.

Il dipendente, qualora ritenga il licenziamento illegittimo, lo dovrà impugnare entro 60 giorni dalla sua comunicazione; l’impugnazione può essere esercitata in qualunque modo, anche con semplice raccomandata al datore di lavoro, ma é ovvio che l’iter raccomandato é quello di rivolgersi sia ad un sindacato che ad un legale di fiducia, frequentemente indicato dagli stessi sindacati.

L’utilizzo della via giudiziale prevede che il legale depositi il ricorso presso la cancelleria del tribunale di competenza, previo esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione presso le Commissioni appositamente individuate sul territorio.

Sia il dipendente sia l’azienda potranno optare se accettare l’invito della Commissione di Conciliazione, per tentare una transazione extragiudiziale, o declinare l’invito ed attendere la convocazione dalla magistratura del lavoro, per discutere la vertenza davanti ad un giudice.

I tempi della magistratura del lavoro sono molto variabili a seconda dei tribunali; le cause di lavoro dovrebbero  iniziare e terminare in un periodo di tempo di circa un anno, ma in alcuni tribunali, specie del sud Italia, possono durare anche diversi anni.

Il giudice, nel caso ritenga il licenziamento nullo o ingiustificato, dispone che:

  • il lavoratore sia reintegrato nel posto di lavoro, senza concedere all’azienda la possibilità di una alternativa di tipo risarcitorio;
  • il datore di lavoro sia condannato ad un risarcimento del danno subito dal lavoratore, pari alla retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino alla effettiva reintegrazione (e comunque non inferiore a 5 mensilità di retribuzione).

Il datore di lavoro, nel caso non proceda al reintegro del dipendente, dovrà continuare a pagargli ininterrottamente un’indennità pari alle retribuzioni correnti; solo il lavoratore potrà optare per la risoluzione del contratto di lavoro a fronte però del pagamento di un’indennità pari a 15 mensilità .

A cura di Pier Paolo Sposato
Autore di Come Gestire i Conflitti

Pubblicato il: 27 Dicembre 2010