Come diversificare i nostri investimenti con i fondi comuni di investimento e le sicav estere

Luca MoroI fondi comuni di investimento e le sicav estere possono essere:
a) a distribuzione di proventi, in cui le eventuali plusvalenze realizzate in un arco temporale predefinito vengono accreditate ‘in parte o interamente’ sul conto corrente del risparmiatore sotto forma di “cedola” trimestrale o annuale;
b)  ad accumulazione di proventi, in cui i guadagni rimangono all’interno del fondo e il sottoscrittore li realizza (cioè li trasforma in denaro contante) al momento della vendita delle quote.

Qui, per deontologia professionale, vorrei spezzare la classica lancia a favore dei fondi d’investimento, che considero il prodotto core che ogni investitore dovrebbe avere, e che invece spesso viene bistrattato (a torto) dai risparmiatori perché aventi costose commissioni di gestione (mediamente il 2% annuo per gli azionari e l’1% per gli obbligazionari). 

Sono molte le ragioni per le quali è opportuno canalizzare tutto o gran parte del proprio patrimonio sui Fondi:

1) sono trasparenti, in quanto hanno un valore quota che viene determinato quotidianamente e che è possibile verificare sui giornali e sui siti finanziari;
2) consentono un’efficace diversificazione, principio cardine di ogni investimento;
3) il rischio di fallimento è praticamente inesistente;
4) hanno un obiettivo preciso: fare meglio del benchmark di riferimento attraverso una gestione attiva;
5) sono strutturati da un professionista degli investimenti, il gestore, il quale è affiancato da esperti che analizzano ogni singola società che comprano.

Nessun portafoglio finanziario che un singolo investitore riesca a creare sarà così diversificato come quello di un fondo, tenendo presente che molto spesso i risparmiatori che hanno titoli in portafoglio hanno in gran parte titoli del proprio Paese di origine perché si presuppone che si conoscano meglio (in Italia titoli italiani, in Inghilterra titoli inglesi e così via).

Inoltre è fondamentale sapere che con un fondo non si potrà mai fallire: obbligazioni argentine, Parmalat e Lehman Brothers insegnano! Al massimo sarà possibile perdere la percentuale del titolo fallito presente in portafoglio (quasi sempre zero virgola…). 

Ancora: è vero che i fondi che battono il benchmark di riferimento attraverso una gestione attiva sono pochi, però esistono e si possono trovare, senza accettare indistintamente qualsiasi proposta propinata dalla propria banca.

Infine chi governa il fondo, il gestore, è un professionista del settore che amministra un portafoglio che difficilmente sarebbe replicabile da un investitore privato ed è in grado di acquisire informazioni difficilmente reperibili dal risparmiatore. Inoltre la sua funzione è quella di visitare periodicamente il management delle aziende nelle quali investe per saggiare da vicino la bontà delle proprie scelte di investimento.

Ma vediamo in sintesi le funzioni principali del gestore di portafoglio:

a) definizione dell’asset allocation strategica, cioè la ripartizione del patrimonio fra le diverse tipologie di titoli, aree geografiche e settori merceologici sulla base dei rendimenti attesi, del rischio e delle correlazioni tra le diverse asset class. Queste ultime indicano un comparto di mercato d’investimento come ad esempio azionario, obbligazionario o monetario (cd. Macro Asset Class) o una categoria di attività finanziarie con caratteristiche omogenee, quali Azionario Europa, Azionari Nord America, Obbligazionari High Yield (cd. Micro Asset Class). L’asset allocation strategica è vincolata dal regolamento del fondo: un fondo azionario Italia non potrà, infatti, scegliere di puntare sul mercato americano, anche se il gestore ritiene che possa avere buone prospettive di crescita;

b) definizione dell’asset allocation tattica: si tratta di aggiustamenti di breve periodo dell’allocazione strategica, dettati da esigenze di mercato;

c) stock picking: scelta dei titoli all’interno delle diverse aree d’investimento, da acquistare o vendere, sulla base dell’analisi fondamentale e dell’analisi tecnica. La prima è lo studio e la valutazione dei dati di bilancio e di conto economico di un’impresa: tramite quest‚analisi possono essere valutate le potenzialità future dell’azienda sotto osservazione e la convenienza o meno di eventuali investimenti sulla stessa. La seconda invece permette di fare delle previsioni sull’evoluzione futura dell’andamento generale di mercato, utilizzando i grafici e focalizzandosi sulla storia passata di variabili conosciute, come i prezzi dei titoli o i volumi di contrattazione;

d) market timing: scelta del momento migliore per l’acquisto o la vendita dei titoli, cercando di anticipare i cambiamenti di sentiment del mercato modificando il peso del portafoglio complessivamente investito.

A cura di Luca Moro

Pubblicato il: 12 Settembre 2012