Come auto-scoprirsi e scoprirsi dei leader vincenti. Una storia di successo

Mario De MiccoL’autoscoperta è il primo passo che dovrebbe affrontare chiunque si avvicina all’attività di leader. Che tu sia un manager o un imprenditore è importante, infatti, comprendere i valori personali (quelli che ci spingono ad essere convinti nel fare cose), le proprie ambizioni e  le proprie aspettative perché solo così, infatti, si possono convincere completamente gli altri dei propri propositi.

Quindi, ogni leader di successo ha sicuramente le idee molto chiare, e questo è quanto afferma chiunque si interessi di leadership. Inoltre è possibile affermare, come più volte espresso nel mio corso il Lean Manager, che i valori e la cultura, di un’azienda ne caratterizzano sensibilmente la resa.

Un personaggio molto rappresentativo dei concetti di valore e importanza della chiarezza degli stessi è, sicuramente, Howard Schultz, il presidente e CEO di Starbucks. A partire dal 1986, quando è diventato CEO, Starbucks si é progressivamente trasformata da piccola azienda locale con sei punti vendita e meno di 100 dipendenti in un brand internazionale con oltre 16.000 punti vendita, sparsi in più di 50 paesi. Ancor più straordinario di questa crescita spettacolare è il fatto che si tratta di un’azienda basata su valori e principi guida che si vedono raramente nel business.

L’ascesa di Starbucks ha dimostrato che un’azienda può dominare il mercato con i suoi valori (nello specifico: trattare i dipendenti con rispetto e dignità) e guadagnare comunque. Il settore della distribuzione al dettaglio è noto per l‚elevato turnover del personale e per il diffuso impiego di lavoratori a tempo determinato. Questo sistema permette alle imprese di tenere bassi i costi e contenere i benefit. Starbucks, invece, è stata la prima azienda degli Stati Uniti ad assicurare la copertura sanitaria ai dipendenti a tempo parziale, ed è altamente profittevole pur spendendo più soldi per i benefit che per I’acquisto del caffè. Schultz è cresciuto in un quartiere popolare di Brooklyn. Suo padre, un camionista, non ha mai guadagnato più di 20.000 dollari all’anno e spesso subiva infortuni non potendo lavorare.

Secondo il profilo dell’imprenditore di successo delineato anche nel mio testo (il lean manager).  Egli non riusciva a capire perché l’azienda del padre non lo aiutava nei momenti di difficoltà anche perché era già convinto che se un infortunio fosse accade sul lavoro dovrebbe essere l’azienda ad occuparsi di pagare l’assistenza sanitaria (che negli USA non è garantita). I suoi valori hanno cominciato a prendere forma proprio allora. Sapeva che se avesse mai avuto la possibilità di fare la differenza, non avrebbe mai trattato i dipendenti come l’azienda del padre. Schultz, grazie alle sue abilità sportive, poté frequentare la Northern Michigan University (con una borsa di studio tenuto conto delle condizioni economiche della sua famiglia), probabilmente era l’unico mezzo.

Dopo il college andò a lavorare in Xerox (la stessa azienda dove lavorò anche Robert Kiyosaki), dove partecipò al programma di formazione della forza vendita. In quell’esperienza apprese delle competenze che avrebbe conservato per tutta la vita: vendita, marketing, presentazioni e visite senza appuntamento. Il successo arrivò presto, e nei tre anni successivi vendette più fotocopiatrici di quasi tutti i suoi colleghi. Prese in affitto un appartamento al Greenwich Village, ed era chiaramente in ascesa. L’unico problema era la sua scarsa passione per le fotocopiatrici, di cui si stancò presto per mettersi alla ricerca di nuove sfide.

Nel 1979 venne a sapere che un’azienda svedese, Perstorp, voleva aprire una filiale negli Stati Uniti per la linea di casalinghi Hammerplast; così si trasferì nel North Carolina per vendere componenti per cucine e arredamento. Promosso a vicepresidente e general manager di Hammerplast, Schultz tornò a New York per dirigere la filiale americana, supervisionando una ventina di rappresentanti. A soli 28 anni era già arrivato. Con uno stipendio di 75.000 dollari, l’auto aziendale e un ricco conto spese, comprò un appartamento nell’Upper East Side dove andò ad abitare con sua moglie. I suoi genitori stentavano a credere che potesse concedersi quel tenore di vita a soli sei anni dalla laurea, e non capivano perché cominciasse a provare nuovamente inquietudine.

Viveva agiatamente, ma non aveva ancora trovato il suo fine di ordine superiore. Non sapeva ancora come e dove lo avrebbe trovato, ma sognava di assumere il controllo del proprio destino. Gli mancava qualcosa: la passione. Mentre lavorava ancora in Hammerplast, scoprì che un piccola catena di distribuzione al dettaglio faceva ordini insolitamente consistenti per una caffettiera manuale e decise di indagare. Voleva capire perché Starbucks Coffee, Tea and Spice di Seattle, nello stato di Washington, acquistava quella macchinetta tanto semplice in grandi quantità, e volò sulla costa occidentale per incontrare i proprietari e scoprirlo.  Dal giorno in cui mise per la prima volta piede a Seattle, la vita non sarebbe mai stata più la stessa per Schultz. Non smise più di pensarci, voleva a tutti i costi realizzare la sua idea di internazionalizzare quella piccola azienda. Dopo averne discusso con i proprietari essi lo richiamarono dicendo di non essere interessati ma lui non desistette e richiamandoli ottenne il posto. Cosa lo ha spinto ad essere cosi ostinato nonostante tutti e tutto suggeriva di desistere??? La risposta è proprio nella convinzione radicale sulla propria missione. Se non li avesse richiamati non avrebbe mai ottenuto il lavoro e Starbacks non sarebbe divenuto l’impero che è.

Cominciò la sua opera mettendo in campo le idee che aveva sviluppato anche durante il suo viaggio a Milano. Dopo poco scoprì che la moglie era incinta. Aveva senso lasciare una posizione sicura in Starbucks e rinunciare a uno stipendio proprio allora? Ma Schultz non aveva più dubbi: lasciò Starbucks e, in seguito, cominciò una raccolta fondi per una nuova azienda “il Giornale”. Oltre a non voler investire, molti degli amici e delle persone interpellate,  gliene dicevano di tutti i colori: da “Come hai potuto andartene da Starbucks?”, a “Sei fuori di testa. E‚ una follia. Dovresti cercarti un lavoro serio”. Delle 242 persone che contattò per raccogliere fondi, 217 gli risposero di no. Eppure non rinuncio mai a credere al potenziale di quell’idea, e alla fine raccolse da quei 25 che avevano creduto in lui un capitale sufficiente per far decollare “Il Giornale”. Fin dal primo giorno di apertura del primo locale, le vendite superarono le aspettative.

Alla fine del primo anno, il business era cresciuto notevolmente e l’azienda aveva già tre punti vendita. A quel punto, i proprietari di Starbucks decisero inaspettatamente di vendere l’azienda. Pur avendo appena portato a termine una maratona estenuante per raccogliere i fondi da destinare al lancio della sua piccola azienda, Schultz si rese subito conto che doveva acquistare Starbucks. Ricominciò così a contattare gli investitori, da cui ottenne alla fine i 4 milioni di dollari necessari. Nell’agosto del 1987 si concluse l’acquisizione, e la società venne ribattezzata Starbucks. A soli 34 anni, Howard Schultz, figlio di un povero camionista di Brooklyn, era riuscito a creare la più grande “coffee company” d’America. Ma soprattutto, avrebbe creato un’azienda che metteva al primo posto il rispetto e la dignità dei dipendenti, il tipo di azienda per cui suo padre non aveva mai avuto la possibilità di lavorare. 
Per sintetizzare questa storia dal punto di vista della leadership riassumiamo quattro punti condivisi, tra l’altro, dalle opere dell’imprenditore R. Kiyosaky e quelle di B. Casnocha:
 Per poter guidare con successo gli altri, bisogna prima auto-disciplinarsi;
 La self-leadership consiste nell’avere un energia illimitata per andare avanti nonostante i peggiori ostacoli;
 Le uniche due fonti permanenti di energia personale illimitata sono il fine sovraordinato e i valori;
 I valori di un manager influenzano la cultura dell’azienda.

A cura di De Micco Mario

Pubblicato il: 25 Febbraio 2013