Come aiutare le organizzazioni di un’azienda

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Stefano BerdiniAiutare l’organizzazione di un’azienda significa ovviamente aiutare le persone dell’organizzazione stessa, dal titolare a tutti i dipendenti in quanto persone  e quindi risorse strategiche aziendali. Molto spesso però consulenti e manager impostano dei progetti di riorganizzazione che rischiano di fallire perché sbagliato potrebbe essere l’approccio con il quale l’intervento stesso viene progettato e poi realizzato.

Quando si parla di aiuto occorre chiarirsi sui termini: Edgar Schein, uno dei più grandi esperti di cultura aziendale e sviluppo organizzativo,  fondatore della cosiddetta “consulenza di processo”, fornisce un contributo fondamentale per chiarire questo aspetto. L’aiuto alle organizzazioni da parte di un consulente di management infatti viene di solito strutturato secondo due approcci tipici.
Aiuto inteso come trasferimento di conoscenze e competenze. Aiuto secondo l’approccio medico-paziente.

Nel primo caso l’azienda si rivolge ad un consulente esperto a cui si riconoscono delle indubbie capacità e conoscenze e gli si chiede di comprendere il problema dell’azienda mediante una attenta e approfondita fase di analisi e quindi di presentare delle ipotesi che si possono applicare al problema del cliente per migliorare la situazione. L’approccio sarà quindi centrato soprattutto sull’analisi.

Nel secondo caso invece, in parte un ampliamento del primo, al consulente viene richiesto un aiuto concreto soprattutto nella definizione della diagnosi del problema e quindi una prescrizione per poterlo rimuovere (terapia) che di solito viene affidata al cliente. L’approccio sarà quindi centrato sulla diagnosi.

In entrambi i casi quindi l’aiuto viene portato da un esterno. Schein indica una terza e forse più efficace forma di aiuto che può essere integrata alle precedenti e che spesso si dimostra più efficace.  Oltre che sul problema occorre focalizzarsi sul processo, ossia sulla relazione che si stabilisce tra consulente e cliente. In pratica il cliente va coinvolto già nella fase di analisi aiutandolo a prendere coscienza del problema e a farsene carico in prima persona. L’obiettivo è quello di sviluppare la capacità del cliente di fare diagnosi e risolvere quindi il problema in maniera autonoma acquisendo le risorse necessarie per poterlo affrontare e assumendo un ruolo proattivo. Questo approccio si concentra quindi sul processo, sull’analisi e diagnosi condivise con il cliente e sulla terapia condotta autonomamente.

I consulenti hanno competenze ma il loro obiettivo primario non è quello di sostituirsi al cliente nella risoluzione del problema. Nei processi di gestione del cambiamento, questo approccio può risultare senza dubbio più efficace dei precedenti in quanto il cliente viene coinvolto fin da subito e non è portato ad assumere un ruolo passivo affidandosi ad un esperto, ma attivandosi nella ricerca delle soluzioni così che sarà portato a realizzare con più convincimento la soluzione adottata proprio perché avrà contribuito attivamente a determinarla.

Non si tratta di deresponsabilizzare il ruolo del consulente quanto di valorizzare quello del cliente perché solo il cliente conosce al meglio la cultura della sua azienda e la sua organizzazione e quindi può garantire l’identificazione di soluzioni efficaci, ripetitive e durature.

Posso assicurarti che negli ultimi anni sto seguendo con attenzione questo tipo di approccio e i risultati ottenuti, aldilà delle teorie, mi confortano nell’andare avanti verso questa strada. Provateci?

A cura di Stefano Berdini

Pubblicato il: 31 Ottobre 2011